giugno 2021

 

All’indomani del primo lockdown del 2020, il ricorso massiccio allo smart working (insieme all’azzeramento degli spostamenti) aveva messo in evidenza una serie di ricadute positive sotto il profilo ambientale:

- qualità dell’aria migliorata soprattutto nelle metropoli più popolose;
- specie animali e vegetali che erano tornate a riconquistarsi spazi urbani;
- crollo delle emissioni di Co2;
- una percezione generale di maggiore pulizia dell’ambiente (come dimenticare le immagini a reti unificate delle acque dei canali di Venezia, per l’occasione terse e trasparenti come quelle dei laghetti di montagna?).


Adesso, dopo oltre un anno di chiusure a intermittenza, di lavoro totalmente da casa alternato a una modalità ibrida (che sembra la soluzione destinata a consolidarsi, soprattutto per quanto riguarda i cosiddetti “knowledge worker”, i lavoratori della conoscenza), il dibattito è più aperto che mai. Perché, se il lavoro da casa implica ad esempio una riduzione significativa del traffico giornaliero su strada da e per le città, è anche vero che quello da remoto produce un consumo importante di energia elettrica dal momento che ha moltiplicato a livello esponenziale il ricorso alle infrastrutture digitali come, molto banalmente, le mail inviate e ricevute (molte di più rispetto a quando “ci si parlava” da una scrivania all’altra, lungo i corridoi degli uffici e davanti all’indimenticata macchinetta del caffè).
 
Gli archivi digitali, inoltre, i cloud, hanno strutture fisiche, i cosiddetti data center, che da oltre un anno a questa parte sono aumentati vertiginosamente e – per poter esistere – consumano naturalmente energia.
Tuttavia, secondo il report “Homeworking”, condotto dal Carbon Trust in cinque Paesi dell'Unione Europea (Repubblica Ceca, Germania, Italia, Spagna, Svezia) e nel Regno Unito, attraverso il ricorso allo smart working potremmo evitare emissioni fino a 8,7 megatonnellate di Co2 all'anno (l'equivalente di circa 60 milioni di voli Londra-Berlino).
 
Stabilire se lo smart working sia una soluzione sostenibile oppure no è pressoché impossibile, dal momento che ogni Paese, ogni azienda e ogni lavoratore contribuisce a comporre uno scenario mutevole e difficile da fotografare. La pandemia è stata un acceleratore formidabile del lavoro da remoto, ne ha messo in evidenza pro e contro. Sta a ogni decisore cercare la soluzione più adatta al proprio business nel segno della sostenibilità ambientale.