novembre 2019

 

Ne ha parlato l’Economist, come un’alternativa alla “nostalgia” per l’agricoltura di un tempo, mentre il Guardian l’ha definita la “terza rivoluzione” nella storia dell’agricoltura. È il vertical farming, l’agricoltura in verticale. Che produce senza pesticidi, consumando poca acqua, coltivando semi antichi. Ne abbiamo parlato con Luca Travaglini, fondatore di Planet Farms, azienda italiana che ha sviluppato una tecnologia all’avanguardia per coltivare ortaggi in condizioni controllate, e ha presentato lo scorso maggio a Milano il progetto di quello che sarà il più grande e avanzato stabilimento di vertical farming in Europa. Un grande progetto d'innovazione di cui è partner anche Repower, attraverso la sua piattaforma dedicata alle partecipazioni spaciali, Repower in board.

 

Come è nata Planet Farms?

 

Quattro anni fa mi hanno diagnosticato un tumore alla pelle. All’epoca lavoravo per l’azienda di famiglia, e ho attraversato una crisi profonda: lavoravo tanto, viaggiavo molto, ho detto basta. In quel periodo mi sono imbattuto in un articolo sulle vertical farms in Giappone, e ho iniziato a pensare a qualcosa di simile in Italia. Per la climatizzazione potevo contare sul know-how dell’azienda di famiglia, la Travaglini, leader in questo campo per il comparto alimentare, mentre per l’illuminazione mi sono rivolto a Philips. Nel 2018 Daniele Benatoff e io abbiamo fondato Planet Farms: ora abbiamo uno stabilimento in costruzione a Cavenago (MB), uno a Milano, un laboratorio a Cinisello Balsamo, e due impianti da realizzare all’estero, in Svizzera e a Londra.

 

Perché puntare sul cibo?

 

Abbiamo paura di molte cose, ma non ci preoccupiamo abbastanza della provenienza del cibo. Volevo fare qualcosa che garantisse davvero qualità al consumatore: la nostra tecnologia è quanto di più sicuro e sostenibile che ad oggi possiamo dare ai nostri figli.

 

Quali sono i vantaggi del Vertical Farming?

 

Il primo: possiamo produrre ovunque, dalla cima di una montagna al Polo Nord, sottoterra, su una nave. Consumiamo il 97% in meno di acqua, usiamo solo quella che serve alla pianta, non irrighiamo i campi. Forniamo un prodotto senza pesticidi, fresco e sano tutti i giorni, 365 giorni all’anno.
Il nostro prodotto è buono e fa bene alla salute: buono perché usiamo semi puri, privi di trattamenti che ne compromettono il sapore originario. È fresco perché dalla raccolta allo scaffale passa pochissimo tempo: poche ore contro i diversi giorni dell’agricoltura tradizionale. Il vertical farming è la più grande rivoluzione recente nella storia dell’agricoltura, e sono felice che l’Italia possa dire la sua su questo.

 

Come potrà il vertical farming supportare l’agricoltura tradizionale?

 

Il vertical farming non vuole sostituire l’agricoltura tradizionale, ma sta ad essa come la Formula 1 sta al mercato automotive. In agricoltura si subisce sempre, senza capire quale sia stato l’elemento scatenante di un determinato fenomeno. Nei nostri stabilimenti, invece, controllando ogni fase del processo produttivo, avremo milioni di dati che potranno dare risposte concrete ai problemi dell’agricoltura tradizionale, permettendo di capire causa ed effetto di ciò che succede alle colture.

 

Come sarà la vertical farm di Cavenago e perché l’Italia per questo investimento?

 

Perché l’Italia è il Paese più difficile in assoluto: ha costi energetici e della manodopera alti e consumatori esigenti. Se si sta in piedi qui si sta in piedi ovunque. E poi l’Italia è il food: abbiamo un patrimonio da preservare, ma mi piaceva anche l’idea che il nostro Paese si proponesse in modo innovativo in questo campo. La vertical farm di Cavenago (MB) sarà di 9mila metri quadri, completamente automatizzata grazie al lavoro del nostro partner, l’azienda italiana 255 HEC. Sarà il primo stabilimento al mondo in cui entrerà un seme e uscirà una confezione di insalata pronta al consumo che nessuno ha mai toccato prima. Produrremo tra le 500 e le 800 tonnellate all’anno che sono oltre 40mila confezioni al giorno, a prezzi competitivi e da GDO. A Milano e Londra vogliamo posizionarci come partner credibili per la riqualificazione di spazi in disuso nelle città.

 

Come è nato il rapporto con Repower?

 

È stata una scoperta: prima ci siamo rivolti a Repower per la fornitura di energia, ma hanno invece deciso di investire nel progetto. Un supporto fondamentale: siamo un’azienda energivora, e con Repower cerchiamo la soluzione più sostenibile per alimentare le nostre Farms.

 

Come si inserisce l’agricoltura nelle smart cities del futuro?

 

È questa la sfida: sempre più persone vivono nelle città e bisogna dar loro cibo di qualità in modo sostenibile ed efficiente. Le smart cities del futuro potranno avere palazzi che ospiteranno al loro interno sempre più attività produttive, come l’agricoltura. Si potrà pensare anche a nuove classi energetiche degli edifici grazie alle vertical farms, perché noi assorbiamo anidride carbonica e liberiamo ossigeno.

 

Società, innovazione e mobilità, tre ambiti sempre più interdipendenti: come vedi questo rapporto?

 

Il tema della mobilità per noi è fondamentale: una vertical farm per essere sostenibile deve consegnare prodotto in un raggio d’azione di massimo 20 km, e con mezzi elettrici. Le città stanno cambiando e car sharing, vertical farms, mezzi elettrici concorreranno insieme a plasmare le smart cities del prossimo futuro.