gennaio 2023
Chi ha meno di trent’anni, probabilmente non ricorda il dibattito globale nato attorno alla questione del buco dell’ozono, considerato tra gli anni ’80 e ’90 il pericolo ambientale più temibile. Siamo nel 1985 e tre scienziati del British Antarctic Survey annunciano questa scoperta (di cui già si era iniziato a parlare negli anni precedenti), ovvero l’assottigliamento dello strato di ozono attorno alla terra dovuto ai clorofluorocarburi, detti CFC, sostanze chimiche presenti per lo più nelle bombolette spray, nei solventi e nei refrigeranti.
Ben presto tutta la comunità scientifica concorda sulla pericolosità di queste sostanze che, assottigliando lo strato di ozono, rendevano gli esseri umani e in generale il pianeta più esposti ai danni dei raggi ultravioletti, con gravi conseguenze sulla salute. Nel 1987 è stato firmato il Protocollo di Montreal, un accordo internazionale che regola la produzione e il consumo di oltre cento sostanze chimiche artificiali.
Il risultato, oltre 30 anni dopo, è che il buco dell’ozono si è notevolmente ridotto e, con le attuali politiche ambientali, nel 2040 la situazione rientrerà ai livelli del 1980. Un traguardo importante raggiunto con la volontà comune di vari attori in tutto il mondo e che riporta la nostra attenzione al cambiamento climatico, al riscaldamento globale, ai dissesti idrogeologici e a tutte le grandi questioni ambientali con cui siamo chiamati a confrontarci oggi.
Certo, per ridurre il buco dell’ozono le sostanze da regolamentare erano relativamente poche, a differenza di quanto accade ad esempio con il riscaldamento globale. Tuttavia, questa vicenda resta un esempio, una best practice cui fare riferimento.